Chiunque ha fatto esperienza del principio di Archimede nella propria vita. E' una legge fisica, impossibile da contrastare, che permette ad un corpo immerso in un fluido di galleggiare. Nessuno la mette in dubbio. Francesco D'Acri intuisce che anche il cuore dell'uomo è sottoposto a questa legge: non c'è nessuna esperienza, positiva o negativa, gratificante o drammatica, vissuta personalmente o per interposta persona, che possiamo nascondere a noi stessi. Ci proviamo ma non funziona. Possiamo provare a spingere i nostri desideri, i nostri dolori o anche i nostri dubbi sul fondo dell'abisso del mare della quotidianità, ma non possiamo evitare che, in qualche modo, essi emergano dal magma confuso e melmoso della nostra vita: la nascita di un figlio, una notte insonne a cercare di rimettere insieme la nostra vita, il suicidio di un amico, la semplice bellezza di coppie che ballano in una sera d'estate, la nostalgia per Milano, un libro che parla di musica o di dubbi sulla capacità di vivere la vita che si vorrebbe.
​
Non si può contrastare questa spinta, questa domanda di senso. Esattamente come non si può contrastare il principio di Archimede. Ma l'uomo non sempre accetta di essere se stesso e di lasciare emergere il proprio cuore dall'abisso dell'apparente mancanza di senso della vita: può passare una vita a nascondere se stesso al mondo, interpretando così una vita non sua.
Per Francesco, conscio di essere personalmente sconfitto da questa mentalità, la musica è diventata la spinta necessaria con cui tirar fuori quello che ha di più caro, il proprio io, troppe volte calpestato da logiche di interesse, ideologici ed economici, che siano personali, di pochi o di molti. E' lo strumento con cui affrontare le difficoltà e le gioie della vita e con cui fare un "coming out" continuo di quello che è nascosto nel fondo della propria anima, del proprio essere, che non potrà mai essere ingabbiato in nessuna struttura.